LA SCUOLA DEL CONTADINO. UN PROGETTO AD ALTO IMPATTO SOCIALE
Di Danilo Amapani
Nasce a Gioia del Colle, provincia di Bari, la prima “Scuola del Contadino” del Sud Italia. Il progetto, proposto da Tracceverdi, ha origine nel 2019 con obbiettivo il coinvolgimento sociale di ragazzi con difficoltà in attività come agricoltura, riciclo del legno, erboristeria.
Sin dal primo istante, il comune di Gioia del Colle ha aiutato questa cooperativa, capitanata da Cecilia Posca, nella crescita costante del progetto. Oggi a distanza di 5 anni è stato presentato il libro “- La Scuola del Contadino. Un Progetto ad Alto impatto sociale-“ con lo scopo di raccontare ciò che la cooperativa svolge insieme ai ragazzi e alle loro famiglie.
Durante la presentazione sono intervenuti la senatrice Maria Nocco, membro della Commissione programmazione economica; Cecilia Posca, presidente della Cooperativa sociale Tracceverdi; Giovanni Barnaba, presidente della Cooperativa sociale Soleluna. A fare gli onori di casa è stato il sindaco Giovanni Mastrangelo assieme all’assessora alle politiche sociali e giovanili del comune di Gioia del Colle Marianna Milano. Il tutto moderato da Rosangela Silletti, ufficio stampa e componente della Cooperativa Tracceverdi.
Le parole che hanno accompagnato l’incontro sono state concretezza e comunità. Concretezza nel credere e tuffarsi pienamente nel progetto. Il sindaco ha ribadito più volte gli obiettivi: avvicinare i ragazzi al mondo contadino, un mondo che oramai si sta lasciando sempre più in secondo piano; integrazione e socialità, un risultato che può essere vincente solo con l’inclusione di questi ragazzi.
La difficoltà sta soprattutto nella continuità progettuale, una continuità che tutti i coordinatori devono trasmettere ai ragazzi poiché li forma come contadini, ma soprattutto come cittadini del futuro.
L’’agricoltura è un cardine fondamentale per la società. Accresce il turismo e l’enogastronomia”, queste le parole della senatrice Maria Nocco che inoltre spiega come l’agricoltura diventa terapia per questi ragazzi divenendo anche un benessere psicofisico.
Un punto importante è stata la proposta fatta alla senatrice di presentare in Senato il progetto con l’intento di far crescere la comunità portandone l’attenzione nelle altre regioni.
È Cecilia Posca che approfondisce e ci racconta le origini di questa iniziativa. Il libro è proprio un racconto di tutte le esperienze e dei lavori portati a termine nella scuola del contadino. Il grande lavoro svolto dai ragazzi è stato possibile anche grazie alle piccole aziende che hanno voluto collaborare con Tracceverdi: se ne contano circa 20.
La pubblicazione del libro “La Scuola del Contadino.Un progetto ad alto impatto sociale” è il mezzo con cui la cooperativa Tracceverdi vuole portare il progetto ad un livello superiore: partendo da piccole realtà e arrivando a coinvolgere le aziende più grandi. Questo progetto può diventare promotrice dei prodotti di punta del territorio regionale e nazione, mantenendo lo scopo di scommettere su questi ragazzi per un’integrazione nel mondo lavorativo. (altro…)
Terre Estreme 2024: Un Trionfo della Viticoltura in Condizioni Estreme
Di Carol Agostini
L’evento “Terre Estreme” si è confermato uno degli appuntamenti più significativi del 2024 nel panorama enogastronomico italiano. Questa manifestazione ha celebrato i vini prodotti in condizioni estreme, mettendo in risalto le sfide e le peculiarità della viticoltura in territori difficili e promuovendo una profonda connessione tra il vino e il territorio, sottolineando l’importanza della biodiversità e della sostenibilità.
Il Concept di Terre Estreme
“Terre Estreme” si è focalizzato sui vini che nascono in aree con condizioni ambientali particolarmente impegnative, come terreni ripidi, altitudini elevate, climi severi o suoli poveri. Questi vini rappresentano il risultato di una viticoltura eroica, dove il lavoro dei vignaioli si fonde con la natura in un rapporto di rispetto e valorizzazione del territorio.
Collegamenti con il Territorio
La manifestazione si è svolta in diverse località italiane note per la loro viticoltura eroica, come la Valtellina, le Cinque Terre, il Trentino e la Sicilia. Questi territori offrono un panorama variegato di tradizioni vitivinicole che rispecchiano la diversità del paesaggio italiano. La scelta delle location non è stata casuale: ogni area ha rappresentato un esempio di come la viticoltura possa adattarsi e prosperare in condizioni estreme, creando vini unici e di alta qualità.
Attività e Programma
L’edizione 2024 di “Terre Estreme” ha offerto una serie di attività pensate per coinvolgere sia gli appassionati di vino che i professionisti del settore. Tra gli eventi principali ci sono stati:
Degustazioni Guidate: Masterclass con esperti sommelier e produttori che hanno guidato i partecipanti alla scoperta delle caratteristiche uniche dei vini estremi. Queste sessioni hanno offerto una panoramica sui metodi di produzione, le varietà di uve utilizzate e le peculiarità organolettiche di questi vini.
Conferenze e Workshop: Seminari tematici su argomenti come la sostenibilità, la biodiversità e le tecniche innovative di viticoltura. Questi incontri hanno visto la partecipazione di ricercatori, agronomi e viticoltori che hanno condiviso le loro esperienze e conoscenze.
Visite ai Vigneti: Tour guidati nei vigneti delle regioni ospitanti, permettendo ai visitatori di vedere da vicino le condizioni estreme in cui queste vigne crescono e di incontrare i produttori locali.
Abbinamenti Enogastronomici: Esperienze culinarie con chef rinomati che hanno creato menu abbinati ai vini estremi, esaltando le caratteristiche di ogni vino attraverso piatti preparati con ingredienti locali.
Presenze e Partecipazione
L’edizione 2024 è stata ricca di partecipazioni, con la presenza di oltre 100 produttori provenienti da diverse regioni d’Italia e dall’estero. Tra questi, ci sono state cantine famose per la loro produzione in condizioni estreme, come le aziende vinicole delle Cinque Terre, note per i loro terrazzamenti sul mare, e quelle della Valtellina, con i loro vigneti situati su pendii ripidissimi.
L’evento ha attirato numerosi appassionati di vino, giornalisti, enologi e operatori del settore, rendendo “Terre Estreme” un’occasione imperdibile per networking e scambio di idee. Inoltre, la manifestazione è stata aperta al pubblico, offrendo a tutti la possibilità di scoprire e apprezzare i vini estremi attraverso degustazioni e attività didattiche.
Sostenibilità e Innovazione
Un tema centrale di “Terre Estreme” è stata la sostenibilità. Molti dei produttori partecipanti adottano pratiche di agricoltura biologica e biodinamica, cercando di ridurre l’impatto ambientale e preservare la biodiversità del territorio. Durante l’evento, sono stati presentati progetti innovativi volti a migliorare la resilienza delle vigne e a promuovere una viticoltura sostenibile.
Conclusione
“Terre Estreme 2024” è stato un evento di grande importanza per il mondo del vino, mettendo in luce la passione e la dedizione dei viticoltori che lavorano in condizioni difficili. Questo appuntamento non ha solo celebrato i vini estremi e i territori da cui provengono, ma ha rappresentato anche un’opportunità per riflettere su temi cruciali come la sostenibilità e la biodiversità. Per chi ama il vino e la natura, “Terre Estreme” è stata un’occasione unica per scoprire e degustare vini straordinari e per approfondire la conoscenza di un settore in continua evoluzione.
Carol Agostini e “Cena con fattura d’amore e i sensi”: Una Esplorazione Enogastronomica e Sensoriale
Redazione
Carol Agostini è una figura emergente nel panorama enogastronomico italiano, nota per la sua capacità di unire la passione per la cucina con un profondo senso di esplorazione sensoriale. Il suo primo libro, “Cena con fattura d’amore”, rappresenta una celebrazione del cibo come strumento di seduzione e connessione umana. Questo articolo esplorerà la vita e la carriera di Carol Agostini, il contenuto e l’importanza del suo libro, e come il suo approccio alla gastronomia influisce sulla percezione dei sensi e delle emozioni.
Chi è Carol Agostini?
Background Professionale
Carol Agostini è conosciuta per le sue masterclass e degustazioni guidate, che tiene in vari eventi fieristici del settore enogastronomico. La sua competenza non si limita solo al cibo, ma si estende anche al vino, rendendola una sommelier di alto livello. Grazie alla sua vasta esperienza, Carol è diventata una figura di riferimento per chiunque voglia approfondire la conoscenza del vino e della cucina.
Iniziative e Progetti
Oltre alle sue attività come sommelier e chef, Carol conduce una rubrica intitolata “In viaggio con Carol“, una serie di podcast enogastronomici che raccontano le realtà produttive e i territori italiani attraverso visite e interviste con i produttori. Questo progetto mette in luce la sua instancabile ricerca di sinergie e opportunità per unire persone e professionisti del settore.
“Cena con fattura d’amore e i sensi”: Il Libro Trama e Contenuti
“Cena con fattura d’amore” racconta la storia di Cornelia, una donna alla ricerca dell’amore che trova la propria realizzazione attraverso la cucina. La trama si snoda attorno al suo percorso di crescita personale e di scoperta delle proprie capacità seduttive, che esprime attraverso la preparazione di piatti speciali. Il libro è arricchito da venti ricette di cucina, ognuna pensata per accendere i sensi e aprire nuovi orizzonti nel mondo della seduzione.
Il Potere della Gastronomia Sensoriale
Carol Agostini utilizza la gastronomia sensoriale come tema centrale del suo libro. Questa disciplina esplora come i sensi interagiscono con il cibo, influenzando la percezione e l’esperienza culinaria. Le ricette proposte nel libro non sono solo semplici istruzioni culinarie, ma vere e proprie esperienze sensoriali che mirano a stimolare tutti i sensi, dalla vista all’olfatto, dal gusto al tatto.
Il Ruolo dei Sensi nella Gastronomia
Vista e Presentazione
La presentazione del cibo è fondamentale per stimolare l’appetito e preparare il palato all’esperienza gustativa. Carol Agostini pone grande attenzione all’estetica dei piatti, utilizzando colori vivaci e combinazioni visivamente accattivanti per creare un impatto visivo immediato.
Olfatto e Memoria
L’olfatto è strettamente legato alla memoria e alle emozioni. Gli aromi del cibo possono evocare ricordi potenti e suscitare emozioni profonde. Carol sfrutta questa connessione nei suoi piatti, utilizzando erbe aromatiche e spezie per creare profumi che rimangono impressi nella memoria dei commensali.
Gusto e Combinazioni di Sapori
Il gusto è il senso più diretto coinvolto nella degustazione del cibo. Le ricette di Carol sono progettate per esplorare una vasta gamma di sapori, dalle note dolci a quelle salate, dall’acido al piccante. Le combinazioni di sapori sono studiate per creare un equilibrio perfetto e sorprendere il palato.
Tatto e Consistenza
La consistenza del cibo gioca un ruolo cruciale nella percezione sensoriale. La varietà di texture, dai cibi croccanti a quelli morbidi, aggiunge una dimensione tattile all’esperienza culinaria. Carol utilizza tecniche di cottura che esaltano la consistenza degli ingredienti, rendendo ogni boccone una scoperta.
Udito e Ambiente
Anche l’ambiente in cui si consuma il cibo può influenzare l’esperienza sensoriale. Il suono del cibo che scrocchia o il rumore di una bottiglia di vino che si stappa possono aggiungere un’ulteriore dimensione all’esperienza. Carol cura anche questi dettagli, creando un ambiente che stimola tutti i sensi.
Impatto Psicologico e Emotivo
Connessione Emotiva
La cucina di Carol Agostini non mira solo a nutrire il corpo, ma anche l’anima. Attraverso i suoi piatti, Carol cerca di creare connessioni emotive profonde con i suoi ospiti. Ogni ricetta è pensata per suscitare emozioni positive, come la gioia, la nostalgia o la serenità.
Terapia e Benessere
Carol crede nel potere terapeutico del cibo. Preparare e consumare cibo può essere un atto di cura verso se stessi e gli altri. Questo approccio olistico vede la cucina non solo come un’arte, ma anche come una forma di terapia che può migliorare il benessere emotivo e mentale.
La Tradizione e l’Innovazione
Radici Culturali
Carol Agostini trae ispirazione dalla ricca tradizione culinaria italiana, ma non ha paura di innovare. Le sue ricette spesso combinano tecniche tradizionali con ingredienti moderni, creando un ponte tra passato e futuro. Questo approccio riflette la sua convinzione che la cucina debba evolversi pur rimanendo radicata nelle proprie origini culturali.
Oltre alle tradizioni italiane, Carol incorpora influenze di altre culture nelle sue ricette. La fusione di sapori e tecniche provenienti da diverse parti del mondo arricchisce la sua cucina, rendendola unica e universale.
Eventi e Masterclass
Degustazioni Guidate
Carol è nota per le sue degustazioni guidate, in cui accompagna i partecipanti in un viaggio sensoriale attraverso il vino e il cibo. Questi eventi sono progettati per educare i partecipanti sui vari aspetti del gusto e dell’olfatto, migliorando la loro capacità di apprezzare la complessità dei sapori.
Carol collabora spesso con altri chef e sommelier di fama internazionale, creando eventi che offrono esperienze culinarie indimenticabili. Queste collaborazioni le permettono di ampliare la sua visione e di esplorare nuovi territori gastronomici.
“In viaggio con Carol”
La sua rubrica “In viaggio con Carol” è un esempio del suo impegno nel raccontare storie enogastronomiche. Attraverso podcast e interviste, Carol porta i suoi ascoltatori alla scoperta di produttori locali e realtà gastronomiche autentiche, promuovendo una maggiore consapevolezza del patrimonio enogastronomico italiano.
Carol Agostini è una figura affascinante nel mondo dell’enogastronomia, capace di trasformare ogni pasto in un’esperienza sensoriale completa. Il suo libro “Cena con fattura d’amore e i sensi” non è solo una raccolta di ricette, ma una guida per esplorare il potere del cibo nel connettere le persone e suscitare emozioni profonde. Attraverso la sua cucina, Carol ci invita a riscoprire l’importanza dei sensi e a celebrare la bellezza del cibo in tutte le sue forme.
La sua dedizione alla gastronomia sensoriale, la sua abilità nel creare piatti che stimolano tutti i sensi e la sua capacità di raccontare storie attraverso il cibo la rendono una delle figure più interessanti e innovative del panorama enogastronomico contemporaneo. Per chiunque voglia esplorare il mondo del gusto e dell’olfatto in modo più profondo, Carol Agostini e il suo lavoro rappresentano un punto di riferimento imprescindibile.
ASSAGGI, salone dell’enogastronomia laziale, ci porta allo show cooking di Alain Rosica, grande curiosità!
Di Cristina Santini
Si è da poco conclusa, con ottimi risultati, la terza edizione di Assaggi – Salone dell’Enogastronomia Laziale di Viterbo, la kermesse delle eccellenze del nostro territorio e dei numerosi eventi collaterali.
Tra le tante attività alle quali abbiamo partecipato, abbiamo dedicato uno spazio allo show cooking dello Chef Alain Rosica del Ristorante Belvedere dal 1933 situato a Frascati (RM), dal titolo “La profonda identità delle radici”.
Un titolo, quello dell’incontro, a tema data la provenienza dal Venezuela dello Chef che si è portato un bagaglio di ricordi, sapori e conoscenze, e approdato ai Castelli Romani, la sua cucina si è contaminata con il nuovo ambiente. La matrice genetica, la biodiversità di una grande Capitale come Caracas, la cucina e la storia geologica castellana si fondono in un mosaico complesso e affascinante, un viaggio culinario, omaggio alla storia personale e alla passione per la cucina, un ponte tra due mondi che si incontrano in un piatto.
Il viaggio che abbiamo intrapreso con Alain e Matteo è stato il riflesso di questa storia bellissima:
“E’ un’emozione e un onore rappresentare un territorio così vicino a Roma e così complesso. Al ristorante Belvedere, al centro di Frascati, abbiamo trovato una dimensione locale importante, in questi tempi riuscire ad avere questo nesso con il territorio, così quotidiano, è l’unica chiave che possiamo utilizzare per avere la stagionalità invece che la grande distribuzione, quindi il fruttarolo della piazza, il pastificio o il nostro macellaio di fiducia, i formaggi come la ricotta che ci viene consegnata calda.
Quest’anno facciamo 25 anni di attività e conserviamo ancora alcuni dei nostri fornitori storici. Qui oggi abbiamo portato un piatto che rappresenta una unione di culture, siamo andati anche molto indietro nel tempo, a cogliere l’essenziale di quello che è quel territorio che circonda Roma, la Roma di un tempo che ritroviamo nell’agnello, nelle erbe spontanee di campagna e nel pecorino.”
La cucina romana è fatta di ingredienti poveri e la sua evoluzione nei secoli è stata arricchita da contaminazioni virtuose e influenze regionali, ne è un chiaro esempio l’unione gastronomica giudaico-romana. Come anche le spezie, gli amidi di riso, il pepe oggi utilizzato tanto nella nostra alimentazione.
In questa preparazione si è mantenuta l’identità locale castellana, con l’impiego di un formaggio, stravecchio, di un produttore di Grottaferrata e l’agnello in bianco, una preparazione certamente di provenienza abruzzese-laziale. Un tipo di carne che richiama le origini abruzzesi da parte paterna, perché il papà era di Guardiagrele, dove Alain ha vissuto per alcuni anni conservando questo forte legame, anche contadino, con il territorio.
“Ragionandoci abbiamo voluto proporre un piatto antico, dai sapori e dalle radici antiche, di queste parti prima che arrivasse la cultura dell’antica Roma con tutto ciò che si è portata dietro, ovvero quello che mangiavano le comunità autoctone dei Castelli, prima che arrivasse la Roma imperiale raccontando per alcuni versi anche la biodiversità territoriale.”
Arriviamo al nostro meraviglioso e buonissimo piatto: si tratta di una sfoglia particolare, una pasta di grano antico saragolla, un po’ amaro, utilizzata per comporre i cappellacci che sposano perfettamente la dolcezza della carne di agnello con fonduta di pecorino e salsa di melograno e l’aggiunta di erbe amare spontanee e uvetta. C’è complessità ma anche tanta bontà in questo delizioso piatto, con il cumino tostato a corredo che lega perfettamente con la carne, insieme a chiodi di garofano, pepe, cannella, dal tocco orientale come le origini dello Chef, tutte spezie dell’antica Roma, ma anche del Nord Africa e del bacino del Mediterraneo. Un piatto dal sapore delicato, dove ogni ingrediente è riconoscibile e ben integrato, con gli aromi speziati a dominare la scena. Una riduzione lenta di melograno, senza zuccheri, quasi neutra, a colorare e condire con maestria la pietanza.
L’utilizzo del succo, secondo noi, ha colto l’essenza finale del piatto, un elemento poco utilizzato in cucina che invece sarebbe appropriato reinserire nella nostra cultura perché regala tanta aromaticità, molto usato ad esempio nella gastronomia dei balcani. Profumi inebrianti provengono dai formaggi e dalle erbe aromatiche che compongono la ricetta, soprattutto dalle misticanze ripassate con l’uvetta.
Dulcis in fundo, i cappellacci, prima di essere serviti, sono stati tostati un pochino – quasi mai mantecati nel loro sugo, come racconta Alain – per dare più intensità aromatica e croccantezza al palato. Si vuole, a ragion veduta, esaltare la fragranza dell’impasto e creare una specie di “dumpling”.
“Abbiamo utilizzato le ossa, che oggi nei ristoranti è difficile trovare, per fare il fondo. E’ un piatto che ha quel gusto e quel ricordo di una volta perché nelle ricette tradizionali bisogna ritrovare la nonna, la mamma.”
Una storia importante che si riflette nelle proposte, quei ricordi di Alain, della sua nonna in Venezuela che cucinava e si riscaldava con le braci in quel paesino a 1800 metri di altitudine lontano dal clima torrido di Caracas. E la casa in Italia, quella connessione indissolubile con il nostro Paese sin da piccolo dove passava le feste insieme al papà.
Ma la crisi economica che stravolse la Nazione, portò tutti a spostarsi e ricominciare da capo.
Ciò nonostante, è affascinante come le tradizioni e i dialetti possano creare una relazione così profonda con un territorio. Frascati è davvero un gioiello. La sua atmosfera pittoresca e il legame con la tradizione culinaria italiana lo rendono un luogo unico. La famiglia che gestisce il ristorante sembra aver fatto un ottimo lavoro nel preservare queste tradizioni e creare un’identità autentica. È sempre bello vedere come la cultura locale si intrecci con la cucina e l’ambiente circostante creando sinergie.
“Viviamo in cucina, facciamo cucina, un lavoro di ricerca sui prodotti, sulle materie prime, di identità ma anche di amore. E quindi il nostro pecorino non sarà mai del supermercato come anche una bottiglia di vino non arriverà dalla grande distribuzione, questo per dare al nostro ospite un servizio completo”.
Lo Chef Rosica ci racconta del suo “Belvedere dal 1933” che già dal nome possiamo intuirne la posizione.
“Abbiamo in mente di allargare un po’ la sala anche all’esterno, dove abbiamo una veranda permanente. E vogliamo renderla fruibile anche d’inverno. L’estate invece si apre alle Terrazze proprio dall’altra parte. Abbiamo una cucina sempre stagionale, ma un po’ più leggera d’estate per il grande numero di persone, cercando sempre una formula comunque che mantenga la qualità nei nostri piatti. Altro piccolo progetto, sarà quello di inserire una cottura un po’ più primitiva. Tornare proprio alla semplicità e ai profumi veri della cucina, questa voglia di rimettere le erbe spontanee al centro, di ritrovare l’olio quello giusto. Insomma si è alzata moltissimo la soglia di attenzione sulla materia prima, e siamo anche fortunati di essere fuori in campagna, ci aiuta tantissimo questa vicinanza al produttore e questa conoscenza del suo lavoro.”
Ad accompagnare il piatto di Alain, un calice di Roscetto in purezza prodotto dall’Antica Cantina Leonardi di Montefiascone (VT), i cui vigneti sono esposti sulle colline vulcaniche del Lago di Bolsena. Una realtà enologica nata agli inizi del ‘900 dalla passione di un giovane imprenditore che, innamorato della sua terra e del vino, ha piantato le basi per quella che è diventata la più storica e prestigiosa cantina del luogo.
Luce del Lago – Lazio Igp Roscetto 2022 affinata in acciaio
Il Trebbiano giallo, localmente chiamato Roscetto per via della colorazione degli acini rosata anziché dorata in fase di maturazione, presenta un bouquet delicato di note fruttate come la pesca e l’albicocca, accompagnate da erbe aromatiche che lasciano una bocca fresca, leggera nella struttura e armonica.
Il suo sorso minerale e deciso, dall’acidità spiccata, si sposta sulla dorsale agrumata, sulle note fumé, di pietra focaia che rendono tutta l’esperienza degustativa gradevole e di ottima morbidezza con un finale lievemente ammandorlato.
Un successo accertato l’abbinamento con la pasta nel mix dei suoi ingredienti, concedendoci l’esaltazione al gusto della riduzione e delle sue erbette integrate alle note aromatiche e fruttate del vino. Un vino che esalta il piatto lasciando la bocca pulita e ben appagata.
Cantina Le Albare: Un Viaggio nel Cuore del Soave a scuola
Redazione – Carol Agostini
Vi racconto…
Nel cuore di Soave una piccola ma affascinante zona vitivinicola situata nel Veneto, si trova la Cantina Le Albare. Questa azienda agricola è un simbolo di tradizione, innovazione e passione per il vino, immersa in un territorio ricco di storia e cultura. La cantina, con la sua produzione di vini di alta qualità, rappresenta non solo un’importante realtà economica, ma anche un custode delle tradizioni locali e delle peculiarità del territorio.
Storia e Tradizione
La storia della Cantina Le Albare affonda le radici agli inizi del XX secolo, quando il bisnonno Adamo intuì l’armonia tra la terra e la vite, dando inizio alla coltivazione che sarebbe poi diventata la base dell’attuale azienda. La tradizione è stata portata avanti con dedizione e passione dal nonno Umberto e dal papàGiovanni, che ha modernizzato i metodi produttivi mantenendo sempre il rispetto per i cicli naturali (Le Albare).
Il Territorio
Montecchia di Crosara si trova in una posizione unica, al confine con Verona e all’ultimo tratto dei Monti Lessini. La zona è caratterizzata dalla presenza di un vulcano spento che ha lasciato in eredità basalti neri e suoli ricchi di minerali, conferendo ai vini locali una straordinaria finezza aromatica e un profilo unico. La viticoltura qui è un’attività secolare, con vigneti che si estendono su dolci colline e valli rigogliose attraversate da diversi corsi d’acqua.
Prodotti e Specialità della Cantina
La Cantina Le Albare produce una varietà di vini, tra cui spiccano il Soave Classico DOC “Vigna Vecia” e il Recioto di Soave, vini che rappresentano al meglio la tradizione enologica della zona. Il Soave Classico, ottenuto dai migliori grappoli del vitigno Garganega, è un vino bianco elegante e complesso, mentre il Recioto di Soave, un vino dolce ottenuto da uve appassite, è perfetto per accompagnare dessert o formaggi stagionati (Le Albare).
Tradizioni Culturali e Gastronomiche
La cultura enogastronomica è ricca e variegata. La produzione vitivinicola è al centro della vita locale, con numerosi eventi e feste che celebrano il vino e i prodotti tipici della zona. Tra i piatti tradizionali spiccano il “baccalà alla vicentina”, un piatto a base di stoccafisso cucinato con latte, olio d’oliva e cipolle, e i “bigoli con l’arna”, una pasta lunga simile agli spaghetti, servita con un ragù di anatra.
Ospitalità e Turismo
La Cantina Le Albare offre anche un’accogliente ospitalità attraverso il suo B&B, immerso nella natura delle colline del Soave. Gli ospiti possono soggiornare in un ambiente confortevole e familiare, godendo della bellezza del paesaggio e della possibilità di partecipare a degustazioni e visite guidate della cantina (Le Albare). Questo tipo di turismo esperienziale permette di apprezzare appieno non solo i vini, ma anche la cultura e le tradizioni del territorio.
Il Vino Soave: Storia, Uve e Produzione
Storia del Soave
Il vino Soave ha origini antichissime, risalenti all’epoca romana, quando Plinio il Vecchio ne lodava la qualità. Il nome “Soave” deriva probabilmente dai Suavi, un’antica popolazione germanica stanziata in questa zona. La denominazione ufficiale “Soave” fu riconosciuta nel 1931, mentre il disciplinare di produzione fu introdotto nel 1968, quando ottenne la DOC (Denominazione di Origine Controllata).
Uve
Il Soave viene prodotto principalmente con uve Garganega, che devono costituire almeno il 70% del blend, mentre il restante può includere Trebbiano di Soave, Pinot Bianco e Chardonnay. La zona di produzione è situata nella provincia di Verona, comprendendo i comuni di Soave, Monteforte d’Alpone e altri limitrofi.
Disciplinare di Produzione
Il disciplinare prevede che il Soave DOC sia prodotto con almeno il 70% di Garganega e il restante con Trebbiano di Soave, Chardonnay o Pinot Bianco. Il Soave Superiore DOCG, riconosciuto nel 2001, deve rispettare regole più rigide, con una resa massima di 105 quintali per ettaro e un affinamento minimo di 3 mesi in bottiglia. Il Soave Classico, invece, proviene dalle zone collinari più antiche e vocate.
Caratteristiche Organolettiche
Il Soave presenta un colore giallo paglierino, con un bouquet di fiori bianchi, mandorle e note fruttate di mela e pesca. Al palato, si distingue per la freschezza, la leggera sapidità e l’equilibrio tra acidità e morbidezza, rendendolo un vino versatile e adatto a molti abbinamenti gastronomici, dai piatti di pesce ai risotti.
Il Vino Amarone: Storia, Uve e Produzione
Storia dell’Amarone
L’Amarone della Valpolicella ha una storia affascinante, spesso attribuita a un errore. Fino agli anni ’30 del Novecento, nella Valpolicella si produceva principalmente il Recioto, un vino dolce ottenuto da uve appassite. La leggenda narra che, per un caso fortuito, una botte di Recioto fermentò completamente, trasformando tutti gli zuccheri in alcol e creando un vino secco, robusto e potente. Da qui nacque l’ Amarone, il cui nome significa appunto “amaro grande”. La prima bottiglia commercializzata risale al 1953 e il riconoscimento DOC avvenne nel 1968, seguito dalla DOCG nel 2010.
Uve e Territorio
L’Amarone è prodotto con le uve Corvina (40-70%), Rondinella (20-40%) e, in misura minore, Molinara. Il Corvinone può sostituire la Corvina fino al 50%. La zona di produzione copre la Valpolicella, una regione collinare nella provincia di Verona. Il clima mite, protetto dai Monti Lessini e influenzato dal Lago di Garda, è ideale per la viticoltura.
Disciplinare di Produzione
Il disciplinare dell’Amarone prevede una resa massima di 120 quintali per ettaro. Le uve, raccolte manualmente, vengono fatte appassire per circa 100-120 giorni in fruttai ventilati, aumentando la concentrazione di zuccheri e polifenoli. La fermentazione, lenta e a bassa temperatura, inizia in inverno, seguita da un affinamento di almeno due anni in botti di rovere (fino a quattro anni per le riserve).
Caratteristiche Organolettiche
L’Amarone si presenta di colore rosso rubino intenso, tendente al granato con l’invecchiamento. Il bouquet è complesso, con note di frutta rossa matura, amarena, prugna secca, accompagnate da sentori di spezie, tabacco, cioccolato e cuoio. Al palato è corposo, vellutato, con una struttura tannica equilibrata e un’elevata alcolicità (tra 15-17%). L’Amarone è un vino che migliora con il tempo e può essere conservato per decenni.
Abbinamenti Gastronomici
Soave
Il Soave si abbina perfettamente a piatti di pesce, antipasti leggeri, risotti e carni bianche. La sua freschezza lo rende ideale anche come aperitivo. I piatti tipici della zona includono risotto all’isolana e baccalà alla vicentina.
Amarone
L’Amarone, con la sua struttura e complessità, è ideale con carni rosse, selvaggina, arrosti e formaggi stagionati. Può essere degustato anche da solo come vino da meditazione. Piatti come brasato all’ Amarone e lepre in salmì esaltano le sue caratteristiche uniche.
Esperienza Unica per i Ragazzi della 3S dell’Istituto IPSIA di Asiago
Qualche giorno fa, i ragazzi della 3S dell’Istituto IPSIA – Enogastronomia e Ospitalità Alberghiera di Asiago hanno vissuto un’esperienza davvero unica. Hanno avuto l’opportunità di esplorare una nuova realtà vinicola, degustare i vini prodotti e utilizzare queste esperienze per creare nuovi cocktail in vista dell’apertura imminente del Bistrò dell’azienda.
La giornata è stata caratterizzata da entusiasmo e creatività da parte degli studenti, che hanno accolto con grande interesse l’iniziativa proposta dalla Cantina Le Albare. L’attività è stata supportata dalla docente di sala, Francesca Crescenzio e dall’esperta Carol Agostini, contribuendo a rendere l’evento ancora più coinvolgente e istruttivo.
Questo viaggio sensoriale, che si è sviluppato attraverso varie iniziative negli ultimi mesi, ha permesso agli studenti di sviluppare competenze in memoria olfattiva e gustativa, analisi del vino e mixology. La classe si è distinta per la sua curiosità e per le abilità nel degustare vini e creare nuovi drink, dimostrando un’eccezionale predisposizione e talento in queste attività.
La combinazione di apprendimento teorico e pratico ha arricchito notevolmente l’esperienza formativa degli studenti, preparando loro per future sfide professionali nel settore enogastronomico e dell’ospitalità.
I cocktail inventati e creati dai ragazzi sono stati assaggiati dal produttore e titolare della cantina, Stefano Posenato. Impressionato dalla loro abilità, il Sig. Posenato ha proposto di accogliere gli studenti in cantina durante la vendemmia e l’appassimento delle uve per la produzione dell’Amarone. Inoltre, ha suggerito di organizzare un contest per la creazione di drink, offrendo un premio agli studenti e creando la prima carta dei cocktail basata sui vini prodotti per il nuovo Bistrò dell’azienda.
L’entusiasmo dei ragazzi era alle stelle; questa rappresenta un’occasione imperdibile per la loro crescita formativa e personale.
La Cantina Le Albare non è solo un produttore di vini di alta qualità, ma anche un custode delle tradizioni e della cultura locale. La dedizione alla terra, la passione per la viticoltura e l’ospitalità fanno di questa cantina un punto di riferimento nel panorama enologico veneto. Visitare Le Albare significa immergersi in un mondo fatto di storia, sapori autentici e un legame profondo con il territorio.
Rappresenta un esempio perfetto di come la tradizione possa convivere con l’innovazione, offrendo prodotti di eccellenza e un’esperienza unica a chiunque voglia scoprire i tesori del Soave.
Sia il Soave che l’ Amarone rappresentano due eccellenze enologiche del Veneto, espressioni di un territorio ricco di storia e tradizione. Il Soave incarna la freschezza e l’eleganza dei vini bianchi italiani, mentre l’ Amarone rappresenta la potenza e la complessità dei grandi rossi. Entrambi i vini riflettono la passione e l’arte dei viticoltori veronesi, rendendoli simboli prestigiosi del patrimonio vitivinicolo italiano.
Per concludere vi lascio con queste frasi celebri e curiosità
La storia dell’Amarone è affascinante anche per i suoi aneddoti. Una delle storie più conosciute riguarda la sua scoperta casuale: si narra che negli anni ’30, nella Cantina Sociale Valpolicella, il capocantina Adelino Lucchese assaggiò del vino da una botte dimenticata di Recioto, scoprendo che era diventato amaro. Da qui il nome “Amarone” (ROSADIVINI), (greenMe).
Un’altra curiosità riguarda il metodo di produzione, che richiede un appassimento controllato delle uve. Questo processo unico contribuisce a sviluppare i caratteristici aromi complessi e la robustezza del vino, (NaturaPerTe), (La Voce del Vin).
Chef Laura Marciani e il nostro viaggio tra sensi e territorio
Di Carol Agostini
Una carriera dedicata non solo alle pentole, ma anche a soddisfare le esigenze della clientela, tra un impasto e l’altro, tra cotture, infornate, dolci e primi piatti. La chef Marciani, patrona della ristorazione di Magliano Sabina, accompagna i fratelli Mauro “il principe“, con la sua eleganza e la sua vasta conoscenza della sala e dei vini, e Marco “l’artista“, il fratello dotato di straordinarie capacità creative che, oltre ad aiutare nell’impresa di famiglia, arricchisce tutti gli ambienti dell’hotel e del ristorante.
Ci hanno accolto per un weekend di scambio culturale, enogastronomico e per discutere del futuro gemellaggio dei territori e della formazione nel settore.
Sono stati giorni intensi con diverse visite, accompagnate dal Sindaco Giulio Falcetta, tra cui l’Istituto Omnicomprensivo “Sandro Pertini”con la Vicaria Roberta Stentella e alcuni docenti dell’I.P.S.S.E.O.A. e gli assessori della Giunta Comunale.
Il territorio
Magliano Sabina: Un Tesoro Enogastronomico tra Storia e Sapori
Magliano Sabina, incastonata tra le colline della Sabina in provincia di Rieti, è un gioiello nascosto che attrae gli amanti della cultura, della storia e soprattutto della buona tavola. Questo pittoresco paese, con le sue chiese secolari, la suggestiva piazza e le sue eccellenze enogastronomiche, offre un viaggio indimenticabile tra tradizione e gusto.
Storia e Cultura
Le radici di Magliano Sabina affondano nella storia antica dell’Italia centrale. Fondata dagli antichi Sabini, ha visto il passaggio di popoli etruschi e romani, che hanno lasciato tracce tangibili nella sua architettura e nel suo tessuto sociale. Il centro storico è un vero e proprio museo a cielo aperto, con le sue stradine strette, i palazzi rinascimentali e le torri medievali che raccontano storie di epoche passate.
Le Chiese, alcune visitate
Magliano Sabina è punteggiata da numerose chiese, ognuna con la propria storia e bellezza unica. La Chiesa di San Michele Arcangelo, con la sua facciata romanica e gli affreschi medievali, è un esempio perfetto dell’arte sacra della regione. La Chiesa di Santa Maria Assunta, con la sua imponente architettura gotica, incanta i visitatori con i suoi dettagli scolpiti e le vetrate colorate.
Piazza e Comune, tra aperitivo e istituzioni del territorio
Il cuore pulsante di Magliano Sabina è la sua piazza principale, un luogo dove il tempo sembra essersi fermato. Circondata da eleganti edifici storici e caffè accoglienti, la piazza è il luogo ideale per passeggiare e immergersi nell’atmosfera autentica del paese. Il Palazzo Comunale, con la sua imponenza, testimonia il ruolo centrale che il municipio ha avuto nella storia e nella vita quotidiana della comunità.
Eccellenze Enogastronomiche, molte assaggiate personalmente
Ma ciò che rende Magliano Sabina veramente speciale è la sua ricchezza enogastronomica. Il territorio circostante è famoso per la produzione di eccellenti prodotti caseari e salumi artigianali. I caseifici locali offrono formaggi prelibati, dal pecorino al parmigiano, mentre i salumifici producono salumi tradizionali, come prosciutto, salame e coppa, che deliziano i palati più esigenti.
Realtà Gastronomiche approfondite tra risate e consapevolezza
Le attività enogastronomiche di Magliano Sabina non si limitano alla produzione di formaggi e salumi. Numerosi ristoranti e trattorie nel paese e nelle vicinanze offrono un’ampia selezione di piatti tradizionali sabini, preparati con ingredienti freschi e di alta qualità. Dalle paste fatte in casa alle zuppe rustiche, dai piatti di cacciagione alla cucina di pesce di fiume, c’è qualcosa per soddisfare tutti i gusti.
Abbiamo visitato anche il Museo della cittadina, istituito dalla Regione Lazio nel 1989 e ospitato a Palazzo Gori, si dispone su tre piani, dove i reperti sono esposti secondo la loro provenienza e presentati in ordine cronologico, permettendo così di tracciare le linee fondamentali della civiltà sabina.
Al piano terra, il visitatore può ammirare una serie di reperti risalenti al Paleolitico medio e superiore, un aspetto particolarmente interessante considerando la rarità dei siti di tale antichità lungo il corso del Tevere.
Il primo piano del museo ospita le sezioni Protostorica e Arcaica, dove le ricerche e gli studi hanno individuato l’occupazione del territorio durante l’Età del Bronzo recente e finale, nonché nella fase finale dell’Età del Ferro. Le necropoli hanno restituito diversi vasi a impasto bruno e a vernice nera, insieme a una collezione di armi in ferro. Il secondo piano, invece, si focalizza sulla fase ellenistica, la romanizzazione e il medioevo nelle terre sabine.
Il Museo di Magliano Sabina rappresenta una vera e propria finestra sul passato di questa affascinante regione. Le sue collezioni comprendono reperti archeologici, manufatti artigianali, opere d’arte e oggetti di vita quotidiana, testimonianze tangibili della ricchezza e della diversità della cultura sabina nel corso dei secoli.
I visitatori hanno l’opportunità di intraprendere un affascinante viaggio attraverso le varie sezioni del museo, esplorando le testimonianze dell’insediamento umano, i reperti romani e medievali, le opere d’arte rinascimentali e tanto altro ancora.
Inoltre, il museo non si limita alla conservazione, ma svolge anche un ruolo attivo nella promozione della cultura e dell’educazione. Organizza regolarmente eventi, conferenze, laboratori e visite guidate per coinvolgere il pubblico di tutte le età e diffondere la conoscenza e l’interesse per la storia e la cultura della Sabina.
Luogo che rappresenta una tappa imperdibile per coloro che desiderano esplorare le ricchezze storiche e culturali di questa affascinante regione. La sua esposizione eclettica, le attività coinvolgenti e l’atmosfera suggestiva lasciano un’impronta duratura nella mente e nel cuore di chi lo visita.
La cripta protoromanica del santuario di Santa Maria delle Grazie, a Magliano Sabina, offre un’esperienza di bellezza e spiritualità. Situato presso Porta Romana, sui resti di una rocca medievale che domina la valle del Tevere, il santuario è un simbolo di storia e devozione.
Costruito nel XV secolo insieme al convento annesso, il santuario incorpora un antico oratorio del XII secolo dedicato al SS. Salvatore, che era la sede della Compagnia dei disciplinati. L’aspetto esterno attuale risale a un intervento successivo al terremoto del 1898.
Il nostro viaggio non finisce così, oltre alle emozioni già vissute, vi dobbiamo assolutamente raccontare l’energia respirata e vissuta al nostro ingresso nella cripta protoromanica del santuario di Santa Maria delle Grazie.
Avvolti da energia e spiritualità si siamo immersi in un mondo mistico che vi racconto:
La cripta, accessibile dal transetto della chiesa, colpisce per la sua eleganza e delicatezza. Le colonne leggermente sfalsate che separano l’ingresso dall’abside creano un’atmosfera suggestiva. Sebbene la datazione sia difficile, si ritiene che la cripta sia stata costruita dopo il millennio.
All’interno, affreschi suggestivi decorano le pareti, tra cui un San Francesco, considerato una delle più antiche rappresentazioni del Santo, e un Sant’Antonio, parzialmente rovinato da un graffito: una firma di Alfonso d’Aragona, che volle lasciare il suo segno nella cripta.
Durante le giornate del Fai, una parte del Baldacchino donato alla cattedrale di Magliano dal cardinale Albani sarà esposta nella chiesa. Quest’opera riflette l’amore per l’esotismo tipico del Settecento, con le sue stoffe pregiate, le sete e i fili d’oro e d’argento. Magliano Sabinaè un tesoro nascosto che merita di essere scoperto da tutti coloro che apprezzano la bellezza, la storia e, soprattutto, i sapori autentici. Con le sue chiese millenarie, la sua incantevole piazza, le sue eccellenze enogastronomiche e la sua vibrante cultura, questo affascinante paese della Sabina è una destinazione imperdibile per chiunque voglia vivere un’esperienza autentica nel cuore dell’Italia.
Passo dopo passo, guidati da una mano materna, forte e genuina, come quella della Chef Laura Marciani, i nostri cuori sono stati travolti dalla sua bravura e, soprattutto, dal suo calore. Un calore materno, di chi ha sofferto ma ha ancora voglia di prendersi cura degli altri.
Piatti, menù, sensazioni organolettiche, bontà e qualità degli ingredienti non fanno di una donna una chef. È la forza, la tenacia, la passione e la tecnica che la rendono tale, e noi lo abbiamo visto di persona.
Con la grinta e la generosità di un cuore amorevole e di un’anima altruista, Laura Marciani riesce ad entrare nel cuore delle persone, così come ha fatto con noi.
Siamo unite da un grave lutto che ha segnato profondamente le nostre vite. Per questo, desidero concludere con un dono per Laura, in segno di vicinanza e affetto che provo nei suoi confronti:
“Vivere per me è continuo divenire, è un buon libro da leggere vicino al fuoco di un camino mentre fuori piove e i cipressi lungo il viale si genuflettono all’impeto del vento.” “Se scrivo qualcosa temo che accada, se amo troppo qualcuno temo di perderlo; eppure non posso smettere né di scrivere né di amare…”.Dal libro A Paula di Isabel Allende
Torna nella Capitale la II edizione di ViniAmo, sabato 11 maggio 2024
Redazione – Carol Agostini
Evento con la partecipazione di 70 cantine, oltre 250 etichette e stand gastronomici si incontrano a Roma presso l’Hotel Cristoforo Colombo in Via Cristoforo Colombo 710
Seconda edizione per ViniAmo, manifestazione che vede protagonisti i vini di cantine italiane, ma non solo, accompagnati da alcune prelibatezze della tradizione gastronomica del Bel Paese.
L’appuntamento è per sabato 11 maggio negli accoglienti e luminosi spazi dell’Hotel Cristoforo Colombo a Roma, zona Eur, dove stampa, operatori ed eno appassionati potranno incontrare, ai banchi di assaggio, 70 cantine dal nord al sud dello Stivale, passando anche tra le isole, ed assaggiare oltre 250 vini di piccole e grandi realtà.
Curiosità
Ospiti di eccezione di questa II edizione saranno alcune etichette dalla Francia, zona Champagne, Borgogna e Bordeaux, e dall’Albania.
Stand gastronomici, di eccellenze italiane, consentiranno ai presenti di intraprendere una pausa golosa tra un calice e l’altro.
Ad arricchire la giornata ci saranno in programma un seminario sugli investimenti dei vini pregiati, con la possibilità per i partecipanti di assaggiare qualche preziosissima etichetta, ed una masterclass dedicata ad uno dei vitigni più particolari, gustosi ed intriganti dell’enologia nazionale: l’Aleatico.
Informazioni
Dalle ore 11.30 fino alle ore 14 l’ingresso sarà riservato agli operatori, ovvero giornalisti, comunicatori, ristoratori, distributori, agenti ed enotecari, mentre dalle ore 14 fino alle ore 21 le porte si apriranno anche ai winelovers, con il pagamento in loco di un biglietto di ingresso di 25 euro (20 euro per i sommelier attualmente tesserati e per studenti universitari) che consentirà l’assaggio di tutte le etichette.
A breve sul sito www.minelliwineevents.it maggiori info sulle cantine, gli stand gastronomici, il seminario e la masterclass.
Per richiesta accredito giornalisti e comunicatori scrivere a: pr.enogastronomia@gmail.com
Per richiesta accredito ristoratori, enotecari, distributori ed agenti scrivere a: minelliwine.events@gmail.com
Gli accrediti avranno validità solo una volta confermati via mail dall’organizzazione.
L’evento è ideato ed organizzato da Minelli Wine Events, nata per promuovere la cultura del buon vino. Stefano Minelli, fondatore della Minelli Wine Events, lavora da tempo nel settore dei vini da investimento.
Emergenza alimentare 2024, il commercio internazionale continua a sostenere l’agricoltura
Di Carol Agostini
Nel 2023, l’export ha visto un aumento di valore, superando i 52 miliardi di euro, sebbene i volumi siano leggermente diminuiti. I dati, annunciati durante il lancio della 22esima edizione dell’Emergenza Alimentare, sono stati presentati presso il Dipartimento dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste.
Il Ministro Francesco Lollobrigida ha dichiarato: “L’Emergenza Alimentare rappresenta sicuramente un’opportunità per consolidare il nostro modello alimentare come punto di riferimento globale”.
Lo sviluppo internazionale, unito a un aumento della competitività, rimangono la strategia vincente per le Imprese Agricole Italiane, che continuano a guadagnare quote di mercato rispetto ai loro concorrenti e a combattere l’inflazione.
La 22esima edizione dell’Emergenza Alimentare segna un nuovo record per le fiere del settore in Italia, con oltre 3.000 marchi presenti e 2.000 acquirenti internazionali provenienti dai principali mercati obiettivo. Per guardare al futuro del settore, Fiere di Parma e Università Cattolica hanno lanciato il nuovo Food Global Monitor.
Per mantenere la crescita, l’agricoltura made in Italy deve guardare all’estero e al futuro. Emergono una serie di fattori che possono rappresentare una minaccia ma anche un’opportunità per le nostre imprese: volatilità delle materie prime, aumenti dei costi energetici, polarizzazione dei canali distributivi. Il made in Italy, sempre più presente sulle tavole globali e consapevole del suo ruolo di leader in termini di qualità e sostenibilità, sarà pienamente rappresentato alla 22esima edizione dell’Emergenza Alimentare (Fiere di Parma, 7-10 maggio), come annunciato oggi presso il Dipartimento dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, alla presenza del Ministro Francesco Lollobrigida.
“Il made in Italy rappresenta il meglio che possiamo offrire. Dobbiamo promuovere l’eccellenza del nostro sistema agroalimentare al resto del mondo, facendo conoscere sempre di più i nostri prodotti. L’export è fondamentale per l’economia nazionale, quindi è essenziale creare opportunità di incontro e discussione su nuovi scenari e strategie per il settore. L’Emergenza Alimentare, che ho presentato all’inizio di marzo in Giappone insieme al presidente dell’Agenzia ICE Matteo Zoppas e all’ambasciatore Gianluigi Benedetti, rappresenta certamente un’occasione per consolidare il nostro modello alimentare come punto di riferimento globale”, ha dichiarato il Ministro dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida.
Nel 2023, secondo i dati Istat, nonostante una leggera diminuzione dei volumi, l’export ha registrato un valore superiore a 52 miliardi di euro, con un aumento del +6,6% rispetto al 2022.
Il futuro del settore è incerto a livello globale a causa dell’incertezza degli scenari internazionali e delle normative intra ed extra UE. Nonostante la diminuzione dei margini e del reddito disponibile, nonché il rischio di nuovi dazi e legislazioni restrittive, le aziende continuano a investire e innovare, prestando sempre più attenzione alle esigenze dei consumatori e dell’ambiente. Questo sarà evidente nei migliaia di prodotti esposti all’Emergenza Alimentare 2024, che cercheranno di ridare valore a categorie messe alla prova da conflitti e crisi climatiche.
“Federalimentare è lieta di contribuire, insieme a Fiere di Parma, alla realizzazione dell’Emergenza Alimentare 2024. Questa edizione si preannuncia record, come dimostrano il numero di partecipanti. Per la Federazione, è un’importante opportunità poiché l’industria alimentare, oltre a generare prodotti e occupazione, contribuisce alla sicurezza e al benessere degli italiani, dimostrando il suo alto valore sociale. L’industria alimentare italiana si presenta all’Emergenza Alimentare 2024 come un settore sano, in crescita e con la fiducia dei consumatori. Questa fiducia si riflette anche all’estero, dove l’industria alimentare italiana sta conquistando sempre più mercati, promuovendo il Made in Italy e lo stile di vita italiano”, ha dichiarato il presidente di Federalimentare, Paolo Mascarino.
I prezzi alimentari al consumo aumentano più dell’inflazione, secondo i dati di Federalimentare, a causa di fattori esterni alle imprese. Nel 2023, i prezzi al consumo nel settore alimentare sono aumentati del +9,8%, rispetto all’inflazione media del 5,7%, e questi aumenti non riescono a coprire i crescenti costi di produzione.
Ulteriori segnali di vulnerabilità emergono osservando le quotazioni internazionali delle materie prime agricole, che nel decennio 2014-2024 sono tutte cresciute a doppia cifra (fonte: Banca Mondiale).
Secondo Federalimentare, queste sfide si aggiungono alle tensioni sulle importazioni di cereali, che, anche a causa del conflitto in Ucraina, sono ad alto rischio con evidenti conseguenze sulla volatilità dei prezzi dei prodotti che sono alla base della dieta mediterranea.
Un esempio emblematico è rappresentato dall’olio extravergine di oliva, dove il raddoppio dei costi delle materie prime ha causato un aumento esponenziale dei prezzi del prodotto finito, portando a una riduzione del consumo da parte di un consumatore italiano su tre, come evidenziato in una recente ricerca presentata durante l’Emergenza Alimentare a Bitonto l’8 marzo scorso.
“È evidente che ci sono cambiamenti nei modelli fieristici e nella loro internazionalizzazione che devono essere sfruttati, altrimenti rischiamo di rimanere indietro rispetto ad altri paesi. Non si tratta solo di dove potremmo arrivare sfruttando questi cambiamenti, ma dove finiremmo se non lo facessimo. Un esempio è ciò che sta accadendo nel panorama delle piattaforme fieristiche fuori dall’Italia legate al mondo del vino. Eventi come l’Emergenza Alimentare sono cruciali per valutare la situazione dei mercati nazionali e internazionali, nonché per le PMI, per avviare o potenziare il proprio processo di internazionalizzazione, rafforzando la loro presenza e individuando nuove opportunità e nuovi mercati”, ha affermato Matteo Zoppas, Presidente di ICE.
“Le fiere sono il luogo d’incontro tra acquirenti stranieri, che arrivano in Italia anche grazie all’Agenzia ICE, e gli imprenditori italiani, soprattutto le PMI, che hanno l’opportunità di stabilire contatti e concludere contratti che potrebbero far crescere il fatturato in pochi anni. Stiamo assistendo a una forte accelerazione del Sistema Paese, grazie alla collaborazione intensiva tra ICE, CDP, Sace e Simest, sotto la guida dei ministeri coinvolti che stanno fornendo supporto agli imprenditori che vogliono espandersi all’estero.
Un esempio della capacità di collaborazione è l’operazione che ha portato la pasta italiana nello spazio, un’incredibile opportunità promozionale per la cucina italiana, soprattutto se consideriamo la candidatura a Patrimonio immateriale UNESCO promossa dai ministri Sangiuliano e Lollobrigida. Dobbiamo sfruttare queste attività promozionali perché la cucina italiana non è solo un valore numerico, ma ha un ruolo e un valore strategico per l’export italiano nel mondo”, ha concluso Zoppas.
Tutto ciò evidenzia come l’industria alimentare italiana, nonostante sia strutturalmente dipendente dai trader internazionali per circa un terzo delle materie prime, continui a competere e crescere grazie alla sua straordinaria flessibilità e creatività, che ha permesso ai consumatori italiani di mantenere i propri consumi e ai distributori internazionali di adattare rapidamente le loro offerte per non perdere volumi.
“Il futuro del Made in Italy Alimentare dipende dalla sua capacità di innovare e investire, rimanendo fedele alle tradizioni e ai territori. Dall’osservatorio privilegiato dell’Emergenza Alimentare, siamo molto fiduciosi riguardo alla solidità delle nostre imprese e dei nostri prodotti. Negli ultimi anni, abbiamo ulteriormente migliorato il rapporto qualità-prezzo della nostra offerta, rendendola sempre più interessante per i principali mercati del nostro export, a vantaggio della bilancia commerciale e delle varie filiere”, ha affermato Antonio Cellie, Amministratore Delegato di Fiere di Parma.
L’Emergenza Alimentare ha promosso e realizzato un Osservatorio sul settore alimentare, sviluppato in collaborazione con il CERSI, Centro di Ricerca per lo Sviluppo Imprenditoriale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Questo monitor offrirà agli imprenditori, ai manager e ai policy-makers un quadro costantemente aggiornato sull’andamento internazionale del settore alimentare, fornendo indicazioni utili per la ricerca di opportunità commerciali nei mercati esteri attraverso una metodologia comparata e costantemente aggiornata.
Durante il salone verrà presentato un primo nucleo di dati della ricerca, focalizzato sui trend della competitività delle principali regioni del mondo (Europa, America, Asia). Lo studio si completerà in autunno con l’analisi dei dati sulle esportazioni di 11 Paesi chiave: Italia, Germania, Spagna, Portogallo, Polonia, Belgio, Paesi Bassi, USA, Cina, Brasile e Thailandia. L’obiettivo è valutare la competitività internazionale di ciascun paese, analizzando l’evoluzione della sua posizione competitiva negli ultimi cinque anni e i principali mercati di destinazione dei prodotti alimentari.
Emergenza ambientale, costi alle stelle e consumi in netto ribasso. L’olio d’oliva diventa un prodotto stagionale?
Di Carol Agostini
Il settore è stato colpito da un’enorme ondata, che apre nuove prospettive per l’industria, la quale deve riconsiderare profondamente i metodi di produzione e distribuzione.
Secondo i dati forniti dall’Istituto Piepoli: uno su tre consumatori ha diminuito l’utilizzo di olio. La crisi dell’olio spagnolo ha contribuito a raddoppiare i prezzi sugli scaffali e rischia di allontanare ancora di più i consumatori, che stanno cambiando le loro abitudini alimentari optando per grassi vegetali più convenienti.
Questo sarà il tema principale del prossimo Cibus Lab (8 marzo, Bitonto, Teatro Traetta), con la partecipazione dei giganti della distribuzione organizzata e dei produttori del settore.
L’Italia è nota per il suo olio, ma negli ultimi tempi il settore sta attraversando una grave crisi di uno dei suoi prodotti più rappresentativi. L’ultima stagione ha visto difficoltà in tutte le fasi della produzione, dalla raccolta alla lavorazione e all’imbottigliamento. Una serie di problemi e fattori che stanno spingendo l’industria verso un cambiamento fino a poco tempo fa impensabile: la trasformazione dell’olio in un prodotto stagionale.
Questo argomento sarà approfondito nel prossimo Cibus Lab dell’8 marzo, che si terrà al Teatro Traetta di Bitonto (BA), con un seminario dal titolo “Olio di Oliva nell’era del cambiamento: evoluzione delle dinamiche tra produzione, rivenditori e consumatori”. Questa iniziativa, nata dalla collaborazione tra Cibus Parma, TUTTOFOOD Milano e la rivista online specializzata GDONews, coinvolge l’Unione delle Famiglie Olearie (Unifol), con il patrocinio della Regione Emilia-Romagna.
A confermare questo nuovo scenario sono gli ultimi dati di una ricerca condotta dall’Istituto Piepoli, secondo la quale molti italiani (un consumatore di olio su tre) hanno modificato le loro abitudini di acquisto e utilizzo a causa dell’aumento dei prezzi dell’olio extravergine di oliva avvenuto nell’ultimo anno. Una crisi dei consumi che si aggiunge alla crisi climatica, i cui effetti si fanno sempre più direttamente sentire per i produttori. Una situazione difficile da affrontare, che sta spingendo l’intera filiera a rivalutare profondamente i suoi metodi e modelli di produzione e distribuzione.
Questa tempesta perfetta non riguarda solo l’Italia. Tra le cause converge anche la difficile situazione che sta vivendo il settore dell’olio spagnolo, fino a poco tempo fa capace di invadere il mercato con prezzi competitivi, se non addirittura inferiori ai costi di produzione. Ma questa situazione non si è ripetuta nell’annata 2023-24, portando a un raddoppio del costo medio al litro sugli scaffali della grande distribuzione e a una fuga dei consumatori.
Secondo la ricerca Piepoli, l’aumento dei prezzi da 4 a 9 euro a bottiglia ha influenzato le abitudini d’acquisto di circa il 30% dei consumatori: il 47% ha ridotto l’acquisto e il consumo del 30%, mentre il 40% lo ha dimezzato; il 45% ha modificato le proprie abitudini alimentari, preferendo oli vegetali più economici per la cottura e il condimento. La ricerca ha anche evidenziato che quasi il 50% degli intervistati ritiene giusto un prezzo di 7 euro per una buona bottiglia di olio extravergine italiano.
Questa diminuzione dei consumi potrebbe portare a una riduzione del 40% nel giro di pochi anni, spingendo il settore a considerare la possibilità di trasformare l’olio d’oliva in un prodotto stagionale, come avviene per altri prodotti ortofrutticoli.
“Cibus Lab – spiega Riccardo Caravita, responsabile del settore Food&Beverage di Fiere di Parma – rappresenta un nuovo modello di sviluppo fieristico, mirato a creare valore per tutti gli attori coinvolti durante tutto l’anno, attraverso iniziative che non siano solo occasioni di business, ma anche di cultura e dibattito, affrontando temi cruciali come quelli trattati nel Cibus Lab di Bitonto.
Gli operatori del settore chiedono sempre più eventi di questo tipo, che permettano di confrontarsi sulle questioni centrali delle diverse filiere agroalimentari. Ecco perché dopo Bitonto, durante Cibus, affronteremo temi legati a due importanti settori del made in Italy, la pasta e i latticini. E in autunno saremo a Salerno, per continuare a concentrarci su tematiche simili, seguendo quanto già fatto l’anno scorso, dedicato al mondo del pomodoro”.
“L’olio è sempre stato un prodotto ampiamente consumato in Italia e la diminuzione dei consumi da un lato, insieme alla modifica delle abitudini dall’altro, avrà un impatto a lungo termine su un settore che rappresenta una vera eccellenza italiana. Da un lato, i consumatori diventano sempre più attenti: il 47% degli intervistati dichiara di preferire oli italiani o con Indicazione Geografica Protetta (IGP) per il condimento e di utilizzare oli provenienti dalla Comunità Europea per la cottura.
Dall’altro lato, tuttavia, un consumatore su tre ha ridotto l’uso di olio a causa dell’aumento dei prezzi, e di questi, poco più della metà acquista meno del 50% rispetto a prima. L’opportunità di discutere di questo argomento insieme all’industria e alla grande distribuzione nel Cibus Lab di Bitonto sembra essere un ottimo punto di partenza per trovare soluzioni pratiche da mettere in atto”, conclude Sara Merigo, AD dell’Istituto Piepoli.
CIBUS LAB Il seminario “Olio di Oliva nell’era del cambiamento: evoluzione delle dinamiche tra produzione, rivenditori e consumatori” è organizzato dalla partnership tra Cibus Parma, TUTTOFOOD Milano e la rivista online GDONews, con la collaborazione di Unifol e il patrocinio della Regione Emilia-Romagna.
Numerosi sono gli ospiti previsti: nella prima parte saranno esaminati i risultati e le ricerche degli istituti di ricerca, tra cui l’Istituto Piepoli, NielsenIQ Italia, NielsenIQ Spagna e Areté – The Agrifood Intelligence. Nella seconda parte, ci sarà una tavola rotonda interattiva con i principali rappresentanti delle maggiori aziende del settore, come Zefferino Monini (Monini Spa), Gianluca Farchioni (Farchioni Spa), Giovanni De Santis (Olearia De Santis) e Nicola Pantaleo (Pantaleo Spa).
Accanto a loro, parteciperanno manager delle principali imprese della grande distribuzione italiana, come Alessandro Masetti (direttore commerciale grocery di Coop Italia), Edoardo Gamboni (direttore commerciale di VéGé Italia), Gianluca Sgaramella (direttore acquisti di Apulia Distribuzione), Federico Stanghetta (direttore commerciale di Conad Adriatico), Antimo Cefarelli (direttore acquisti di Despar Maiora) e Fabrizio Maggiore (direttore grocery di Megamark).
Al di là del cluster enologico Avellino è tra le province più ricche della regione Campania eppure, a dimostrazione che indicatori economici come il prodotto interno lordo non rispecchiano sempre la realtà media vissuta dalle persone comuni, l’Irpinia sta morendo; i dati di Confindustria Campania del 2023 parlano chiaro: spopolamento, grosse carenze infrastrutturali ed alto tasso di disoccupazione.
La verde Irpinia sta invecchiando e ciò rende il quadro decisamente allarmante dal punto di vista demografico, ma altrettanto preoccupante è il costante smottamento delle comunità rurali, sempre più a rischio e sempre più abbandonate a loro stesse.
L’Irpinia è inequivocabilmente uno tra i distretti vitivinicoli più importanti d’Italia e tra quelli maggiormente vocati alla produzione di vino di indiscusso pregio.
Gli straordinari fattori pedoclimatici e soprattutto l’eccezionale varietà in termini geomorfologici fanno sì che quest’area geografica non tema il confronto con la Côte-d’Or borgognona, in quanto a terreni decisamente eterogenei; tantissime le cantine, altrettanto diversificate per grandezza, filosofia produttiva e modello enologico, che costituiscono veri e propri fiori all’occhiello per l’economia della Campania e per tutto il Mezzogiorno, per non parlare dei grandi marchi, vere e proprie aziende rinomate a livello nazionale e nel mondo. Il paesaggio della provincia di Avellino è strabiliante e di grande rilevanza naturalistica, per non parlare della storicità dei borghi e dei monumenti, dei siti archeologici e della tradizione gastronomica, che annovera prodotti agroalimentari d’eccellenza.
Tra i vini irpini di punta spicca il rossissimo Taurasi, la cui docg è entrata in vigore nel 1993 e il cui disciplinare di produzione a denominazione di origine controllata risale al 1970. Decisamente tra i vini rossi più grandi del nostro Paese, tanto che il famoso politico ed enologo piemontese Arturo Marescalchi asserì “devo confessare, chiedendo scusa ai miei Barolo e Barbera, che il Taurasi si deve considerare il loro fratello maggiore”. Tanto valeva in un glorioso passato e tant’è oggi, come attestano i riconoscimenti delle più eminenti guide e personalità del settore, sia a livello nazionale che all’Estero.
Fatto sta che il disciplinare del Taurasi è un disciplinare aperto. In poche parole ne è consentito l’imbottigliamento fuori dalla zona di origine e fuori dalla stessa regione Campania.
Molto probabilmente la mano di chi al tempo ha esteso un privilegio ad imbottigliatori con sede extraregionale, oggi difficile da eradicare e anche soltanto da restringere forse, doveva assolvere ad esigenze di natura commerciale già a partire dal 1970 e che poi si sono connaturate e corroborate con l’attuale docg in forma di diritti acquisiti, potremmo dire. La questione non getta certo ombre sulla rispettabilità e il livello qualitativo raggiunto dalle tantissime cantine avellinesi, ma apre certamente a delle considerazioni che il Consorzio di Tutela Vini d’Irpina, suo malgrado, dovrà affrontare. La situazione per la compagine consortile, insediatasi quasi due anni fa, è decisamente complessa da affrontare, considerando l’aver ereditato un ventennio scomodo in cui, quantomeno, l’area geografica veniva fatta passare per sinonimo di una sola cantina o quasi, fra i vari altri gap da recuperare.
Oltre al rischio di vedersi arginare una buona fetta di mercato, sussiste la conseguente possibilità che aumentino le giacenze di magazzino, ma il fatto che a rimetterci siano le piccole o le grandi aziende costituisce un danno economico relativo, poiché il pericolo più imminente è che a pagare le spese siano i viticoltori irpini, vedendosi le uve appese alla pianta pur di non rimetterci anche le spese della raccolta.
A cercare di mantenere comunque l’obiettività, non si può continuare a vedere un prodotto di nicchia svenduto a pochi spicci sugli scaffali della grande distribuzione: il brand Irpinia ne esce trasfigurato e questo non se lo merita. Parliamo pur sempre di vini straordinari il cui rapporto qualità-prezzo è troppo sbilanciato a causa di una svalutazione di prodotto.
Per poter affrontare ragionevolmente la questione ed avere un punto di vista su questa e altre tematiche legate a questo territorio, abbiamo chiesto ad una persona di grande trasparenza, pragmatismo e coerenza di farsi intervistare. Ve lo presentiamo…
Arturo Erbaggio è nato a Napoli nel ’77 ed è cresciuto ad Afragola. Nel 1996 ottiene il diploma di maturità scientifica, laureandosi nel 2003 in Scienze e Tecnologie Agrarie presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II e successivamente in Viticoltura ed Enologia presso l’Università di Foggia nel 2009, conseguendo inoltre diversi corsi e abilitazioni professionali durante il corso della sua ultraventennale attività lavorativa. Per quanto da piccolo abbia odiato il lavoro in campagna, oggi la sua ammirevole carriera è tutta incentrata sulla forte passione per la viticoltura e l’enologia.
Attivo nella ricerca e nella sperimentazione, principalmente in questi campi, grazie a collaborazioni con istituti di ricerca e università per lo sviluppo di progetti e lavori riguardanti il tema della sostenibilità, dell’impatto ambientale dei sistemi produttivi aziendali e degli effetti dello stress idrico e del climate change sulle performances vegeto-produttivo delle viti e sulla qualità dei vini campani, è un assiduo curioso di fisiologia vegetale, ecologia, sociologia e tecnologia, oltre ad essere un amante dello sport, particolarmente il basket, del bricolage e dell’edonismo nella sua accezione più ampia.
Influenzato dai suoi zii ascolta con piacere diversi generi musicali, “La fine è il mio inizio”, di Tiziano Terzani, è il suo libro preferito, mentre E.T. di steven spielberg ne è il film. La frase che più lo ha contraddistinto, quasi un mantra derivato dalla pallacanestro è “voglio la palla!”. Arturo Erbaggio sa riconoscere la bontà delle cose semplici, ecco perché tra i suoi cibi prediletti primeggia il pane con i pomodori datterini, conditi con origano, olio e basilico. Ad ispirare lui e tanti studenti ha avuto alcuni docenti della Facoltà di Agraria a Portici, a sostenerlo c’è sempre la sua famiglia. È membro del CDA del Consorzio di Tutela dei Vini d’Irpinia, consulente agronomico ed enologo presso alcune aziende viticole e cantine.
Dottor Erbaggio potrebbe esprimere il suo pensiero circa la questione del disciplinare aperto sul Taurasi?
La questione anima polemiche tra gli operatori della filiera e viene strumentalizzata quando si vuole creare confusione e malcontento in un areale dove vi sono criticità nel mercato delle uve e dei vini. In passato è stata data la possibilità ad alcune aziende di imbottigliare fuori dall’areale di produzione, probabilmente per rispondere ad esigenze commerciali, evidentemente prioritarie in quel momento. C’è da dire che la reputazione di talune piccole denominazioni, poco note, poco organizzate o deficitarie di player forti sui mercati, ne ha giovato.
Naturalmente tale situazione inficia anche altri disciplinari con un indotto anche più importante…
Riguarda molti disciplinari di produzione italiani, non solo quelli irpini o comunque campani in generale. Ma sia chiaro, oggi il Testo Unico del Vino garantisce nessuna liberalizzazione, ad eccezione delle deroghe già concesse e casi eccezionali, per tutelare prioritariamente i diritti dei consumatori. (In passato vi è stata battaglia legale con Comunità Europea che intendeva assicurare la libera circolazione delle merci, vino sfuso compreso).
Ritengo che non bisogna avere pregiudizi, in particolare quando essere campanilisti può risultare di ostacolo allo sviluppo. La pratica sicuramente sposta altrove una parte dei margini di guadagno e questo, a dire il vero, dispiace. Inoltre, storicamente, vi sono preoccupazioni legate al basso prezzo di vendita dei vini e al rischio di contraffazione. Relativamente a questo ultimo punto, è importante che le aziende imbottigliatrici siano assoggettate allo stesso sistema di controllo. Queste, talvolta, diventano anche soci dei consorzi. Inoltre, il prezzo di vendita delle bottiglie meriterebbe un’analisi non superficiale essendo legato in primis al costo dei vini sfusi. Vanno effettuate rilevazioni precise sui mercati, confrontati i dati e ponderati per le quantità.
Qual è la posta in gioco?
Le mie preoccupazioni sono maggiormente rivolte all’affermazione di uno stile dei vini sui mercati non rappresentativo dei territori, come conseguenza di una crescita numerica fuori dal solco dell’identità territoriale. Su questo bisogna lavorare…
Ma l’aspetto principale da considerare è rappresentato dalla redditività delle aziende viticole. Bisogna tener presente che le società imbottigliatrici, i grandi gruppi in generale alcuni dei quali vinificano anche in zona, rappresentano una soluzione valida a valorizzare ingenti quantità di uve e vini che altrimenti avrebbero problemi ad essere collocate, con il rischio di deprimere i prezzi e minare all’attività e presenza sul territorio delle aziende viticole. Per come vedo strutturata attualmente la nostra filiera, meglio che una fetta dei guadagni vada altrove che lasciare il prodotto invenduto. La priorità, rispetto a tutte le preoccupazioni elencate in precedenza, è garantire reddito ai viticoltori che altrimenti abbandonerebbero la coltivazione e, con essa probabilmente, la gestione virtuosa e sostenibile dei territori. Non ce lo possiamo permettere.
Situazione difficile. A suo avviso quali dovrebbero essere le azioni correttive di modo che vi sia un bilanciamento tra aspetto economico, territorialità ed immagine etica?
Mettere in atto politiche di branding territoriale. Il vino è una questione di identità territoriale e il consumatore lo connota come un ambasciatore dei territori di produzione. Esso è un paradigma di tipicità, coniuga le diversità territoriali che diventano più che mai bellezza e la stessa esperienza della degustazione richiede il coinvolgimento di questi aspetti. Questo intimo legame con il territorio è un vantaggio raro in agricoltura e, da un tale grado di rappresentatività, appare chiaro che la gestione del territorio è la base per il successo comunicativo dei prodotti agricoli ed il vino in particolare.
Per questo spero in un progetto di territorialità di ampio respiro che coinvolga l’intero sistema produttivo con le sue differenti filiere. L’agricoltura da sola non sarebbe sufficiente, necessitiamo di una governance ampia che miri al consolidamento del brand Irpinia, un territorio unico ed inimitabile. Un progetto del genere porterebbe al rafforzamento della reputazione dell’Irpinia tra i consumatori nella misura in cui si avrà percezione della cura del territorio. Sarà compito della Ricerca la produzione di conoscenza riguardo le originalità territoriali per dare consistenza e rafforzare la tipicità stessa. Non si può comunicare bene ciò che non si conosce, non sarebbe coerente e il consumatore ne risulterebbe confuso.
Attualmente qual è la prospettiva del Consorzio a riguardo e a cosa punta in generale?
La visione del Consorzio è che il territorio è la nostra eredità, la nostra risorsa. Siamo consapevoli delle criticità di alcuni areali e siamo fiduciosi che il lavoro di divulgazione intrapreso finora porterà i suoi frutti. Il nostro ruolo è di facilitare le relazioni con associazioni di settore, rappresentanti della politica e del mondo dell’informazione e ricerca, portando le istanze delle aziende. Abbiamo intrapreso un dialogo proficuo con Confindustria per agire in sinergia e promuovere con azioni condivise le eccellenze del territorio.
I punti di forza, i punti deboli e il potenziale ancora inespresso dell’Irpinia…
Parliamo di Irpinia del vino naturalmente…
Come ho espresso in precedenza l’immagine del vino è conseguenza di quella del territorio e qui ci sono le carte in regola per giocare la partita dell’eccellenza. Basta fermarsi e ammirare le forme del paesaggio: alternanza di boschi, siepi campestri a campi coltivati. Un’orografia complessa, con pendenze talvolta da viticoltura eroica, su cui si è innestata l’opera di generazioni di viticoltori generalmente molto rispettosi e conservativi.
Credo il maggior potenziale inespresso sia legato ai suoli e alle varietà autoctone allevate, in particolare alla luce delle necessità che il cambiamento climatico ci impone in termini di efficienza della risorsa idrica. I ricercatori stanno lavorando per imparare a gestire la variabilità dei suoli, che è ricchezza, le loro caratteristiche idrauliche, la relazione con le differenti varietà allevate in funzione della tipologia di vini da produrre. Lo scopo è di proporre variazioni a tecniche di gestione, non più sostenibili ormai, che andranno a mitigare l ‘effetto del climate change e ripristinare la fertilità.
Non dico nulla di nuovo riguardo all’originalità delle varietà allevate, dalle quali otteniamo vini identitari, espressione delle caratteristiche pedoclimatiche. Tuttavia gli studi riguardo la caratterizzazione delle nostre varietà sono molto pochi e non più procrastinabili. Nel prossimo futuro le conoscenze sulla fisiologia varietale saranno la base per strategie di viticoltura di precisione, l’unica strada che abbiamo per produrre meglio utilizzando meno energia. Tra gli obiettivi più urgenti ci sono la valutazione dell’adattabilità dei territori alle varietà e/o stili di vini, della resilienza delle differenti varietà agli stress idro-termici e dell’eventualità di irrigazione come leva di qualità.
Non è passato molto tempo da quando il progetto della doc unica regionale si è arenato. Ci è andata bene oppure abbiamo perso un’occasione?
Altro tema molto caldo, strumentalizzato, su cui si continua a fare confusione.
Francamente mi risulta po’ difficile capire una Doc su un territorio così grande ed eterogeneo come la Campania. Mi sembra in antitesi con quanto finora esposto riguardo la richiesta da parte dei consumatori di correlare le caratteristiche dei prodotti alle peculiarità dei luoghi di produzione.
Altra cosa sarebbe un brand collettivo…
Il Consorzio di Tutela Vini d’Irpinia si è espresso chiaramente con un comunicato stampa ad agosto 2023, di seguito proverò a riprenderne alcuni concetti.
Credo che un brand Campania, accomunando molte eccellenze dell’agrofood regionali da proporre in sinergia, potrebbe catalizzare molta più attenzione mediatica e curiosità sui mercati. Per il settore vino probabilmente non risolverebbe i problemi legati ad un esiguo numero di bottiglie ma la necessità di fare massa critica e di creare un brand regionale, deve essere frutto di una politica comune che indichi una strategia capace di conciliare la competitività internazionale in maniera coerente con la necessità di valorizzare le unicità territoriali, evitando confusioni per i consumatori.
Ma le maggiori preoccupazioni sono legate alle ripercussioni sociali, economiche e ambientali conseguenti all’introduzione di un disciplinare di produzione. Nelle aree collinari interne, non solo irpine, la viticoltura è tra le poche possibilità di produrre reddito e di gestire il territorio a basso costo per la collettività. Spesso si vive in un contesto sociale già labile per criticità legate allo spopolamento, ricambio generazionale mal gestito, abbandono della coltivazione dei campi per scarsa redditività.
Alcune aziende già da tempo sono impegnate in modi diversi per scoraggiare l’abbandono dei territori vitati consapevoli dell’enorme danno anche per l’immagine che ne conseguirebbe.
Credo che il modello viticolo conseguente all’introduzione di un disciplinare regionale genererebbe lo spostamento delle aree vitate in zone a minor costo di produzione e peggiorerebbe tale situazione con ripercussioni catastrofiche per i piccoli borghi irpini che si trovano in territori orograficamente affascinanti ma che determinano costi di produzione più alti.
Sono i limiti di una struttura produttiva poco adattabile, determinata dalla natura ma anche da una politica agricola che ha sussidiato troppo un sistema economicamente inefficiente.
Con provocazione, ma non tanto, dico che l’indicatore di benessere di un territorio e del buon lavoro degli attori della filiera, consorzi compresi, non è il mero numero di bottiglie vendute, né il costo per bottiglia, ma il costo del kg di uva.
Eppure sembra che siano passati i vitigni tolleranti…
C’è chi asserisce che anche l’utilizzo del portainnesto abbia snaturato la vite europea.
Ritengo che la genuinità delle nostre varietà possa essere garantita grazie ai progressi della genetica; bisogna avere fiducia nella ricerca, in particolare perché le tecniche di ibridazione, trasferimento genetico e via dicendo, assicurano la tutela dell’immenso ed inesplorato patrimonio di variabilità che le varietà autoctone rappresentano.
In questi termini vuoi sapere se sono preoccupato per la tipicità?
Non più di altri temi, alcuni dei quali abbiamo trattato in questa intervista. L’originalità produttiva non può essere solo una conseguenza di una scelta varietale, né di una forma di allevamento o tecnica di vinificazione, ma di quanto le scelte dell’uomo sono funzionali al TERRITORIO!
La mia prudenza è agronomica, per le conseguenze dell’introduzione di un bionte nuovo in un ambiente. Non è un aspetto da sottovalutare per il rischio di generare ceppi fungini super resistenti o altro tipo di perturbazioni dell’agrosistema. Finora non ho ascoltato o letto alcuna analisi di tipo ecologico. Resto comunque fiducioso in merito.
Ci parlerebbe del suo concetto di viticultura ed enologia e con quale approccio combatte il cambiamento climatico?
Sono fortunato a fare un lavoro che mi piace. Cerco di interpretare entrambe le materie con curiosità, disponibilità alla sperimentazione, per combattere la noia e aggiornarmi costantemente. Nella professione è più che mai importante non avere pregiudizi e, soprattutto, accettare di cambiare il proprio punto di vista. Inizi a divertirti quando, con una maggiore maturità, concedi alla creatività di entrare nelle tue cose, accetti il tempo, e cerchi di rallentare. Non è disincanto ma il bisogno di reinterpretarsi e prestare attenzione a nuove cose.
Mi annoiano le discussioni sulle tecniche, tecnologie, macchinari etc., mi interessano le persone, come si relazionano con la complessità, quali competenze maturano e come accettano i propri limiti per preservare i loro progetti. Ho la fortuna di avere frequenti confronti con amici-colleghi e sono sempre incentrati sugli elementi di diversità. Per l’enologia le competenze essenziali sono sensibilità ed empatia.
Riguardo ai cambiamenti climatici ho imparato dai ricercatori quanto sia importante avere un approccio multidisciplinare, lavorare con un gruppo di professionisti con competenze differenti ad affrontare la medesima necessità. La vite è posta idealmente al centro, studiata come un albero da botanici, fisiologi, ecologi, pedologi. Da questa metodologia di ricerca vengono via via palesate le relazioni delle piante con l’ambiente, e la loro capacità di modulare il passaggio di materia ed energia dal suolo all’atmosfera. Le condizioni sono cambiate, è sotto gli occhi di tutti, e rifiutare di adattare la tecnica viticola è la scelta più sbagliata. La posta in gioco non è solo la sostenibilità ambientale, ma anche lo stile dei vini e i la tipicità.
Il progetto a cui è più affezionato ed un suo sogno nel cassetto…
I progetti sono quelli futuri, da realizzare. Sarebbe interessante un upgrade del progetto psr Campania-Grease, che si è appena concluso, attinente alla sostenibilità nel vigneto e particolarmente legato alla cultivar Greco, in collaborazione con l’Università degli studi di Napoli Federico II, l’Università della Campania Luigi Vanvitelli, il Consiglio Nazionale delle Ricerche e l’azienda Feudi di San Gregorio.
Il mio sogno, da piccolo, era di poter giocare e vivere di basket; oggi mi capita qualche notte di rivivere qualche sprazzo di gara. Mi manca la pallacanestro. Francamente nel cassetto c’ è tanta voglia di libertà, anche dai sogni!
Cosa beve Arturo Erbaggio quando non beve i vini di Arturo Erbaggio?
Assaggio i buoni vini, tutti. Ho un debole per le bollicine non dosate e i bianchi salati. Mi incuriosiscono i progetti su territori in altura. Ricerco le interpretazioni dell’equilibrio gustativo dei colleghi più bravi, come eventualmente hanno dosato il legno, la freschezza e come riescono a realizzarlo in ogni millesimo, rispettando lo stile aziendale.