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  • Quando il riso è scelto dal Sommelier 2022

    Quando il riso è scelto dal Sommelier 2022

    Quando il riso è scelto dal Sommelier 2022

    Di Nadia Toppino

    Quando si pensa a qualcuno che racconta di territorio, di sentori e di gusto, con un calice in mano, la mente rimanda inevitabilmente alla figura del sommelier.
    Ma se nel calice il prodotto non è il vino, bensì dei chicchi di riso, forse la sorpresa maggiore è che la figura in questione è sempre un sommelier, questa volta del riso appunto.
    Del resto il riso, un po’ come la vite può essere classificato in varietà aromatiche, semi aromatiche e neutre. E come per il vino, si può parlare anche nel riso di terroir, attraverso le medesime caratteristiche di clima, territorio, metodi di coltivazione…

    L’importanza di conoscere nel dettaglio un riso, di riconoscerne difetti, di saperne determinare la zona di provenienza, la tipologia di chicco, la consistenza, ha portato alla creazione di questa figura in grado di sottoporre i chicchi ad una approfondita analisi sensoriale.
    Un modo insomma per vivere il cosiddetto “mare a quadretti” delle risaie, in modo più completo, profondo, ancestrale.
    I corsi che portano a diventare sommelier del riso affrontano i temi di informazione agronomica sul prodotto, quindi produzioni nel mondo e in Italia, varietà, origini e processi di coltivazione.

    Toccano l’importante questione dei difetti dei chicchi, la scelta delle varietà per il miglior abbinamento in cucina, le proprietà organolettiche da conoscere per ottenere i migliori risultati da una ricetta e da un piatto.
    La Società AcquaVerdeRiso organizza proprio questi corsi che portano ad essere esperti di riso, alla stregua di quello che possono essere i corsi da sommelier del vino, per arrivare a determinare caratteristiche, difetti, zona di provenienza.

    La tecnica viene nominata “Il riso nel bicchiere” e il metodo è un procedimento analitico registrato in Europa, un complesso protocollo di degustazione e di valutazione del riso secondo una scheda ad hoc. L’importanza del metodo è legata al fatto che si tratta di un cereale dalla vastissima eterogeneità: al mondo ne esistono 140.000 tipi. A questo si devono aggiungere i diversi processi di coltivazione, conservazione, lavorazione e trasformazione che lo rendono uno dei cibi più versatili a disposizione degli chef del nostro pianeta.

    Il riso nel bicchiere, articolo: Quando il riso è scelto dal Sommelier 2022
    Il riso nel bicchiere, articolo: Quando il riso è scelto dal Sommelier 2022

    Nella prima parte si affrontano i temi di informazione generale e agronomica sul riso: le produzioni nel mondo e in Italia, le varietà, le origini e le trasformazioni dei risi nel corso dei secoli, i processi di coltivazione e lavorazione, i difetti dei chicchi, la scelta delle varietà per il miglior abbinamento nel piatto, le proprietà organolettiche da conoscere per ottenere i migliori risultati in cucina, i risi pigmentati e aromatici.
    Si passa poi a nozioni più tecniche e approfondite per arrivare ad acquisire le informazioni di base sull’analisi sensoriale applicata al riso e si approfondisce la psico-fisiologia della percezione.

    Chicchi di riso, difetti, cotture, coltivazioni e lavorazioni
    Chicchi di riso, difetti, cotture, coltivazioni e lavorazioni

    Nello specifico si toccano lo studio dei sensi e delle soglie di percezione, l’apprendimento delle etichette semantiche, i test di analisi discriminante, i test di analisi descrittiva, attraverso la realizzazione di un panel test.
    Per entrare nel dettaglio di quanto avviene in questi corsi, si inizia dall’analisi del riso a crudo, partendo prima dall’esame visivo e poi procedendo a quello tattile e olfattivo.

    Poi si passa all’esame del riso cotto: il primo step è l’esame olfattivo, per passare poi a quello gustativo e retrogustativo, a quello visivo, a quello visivo dell’anima del granello (condotto mediante l’osservazione di un chicco schiacciato tra due vetrini), la tenuta di cottura e le sensazioni gustative e retrogustative post-degustazione.

    le varie tipologie di cultivar
    Varie tipologie di cultivar di riso

    La cottura del riso avviene in acqua demineralizzata e anche la scelta degli strumenti è rigidamente codificata: per l’esame olfattivo a crudo il riso viene messo all’interno di calici da degustazione, mentre per l’assaggio a cotto vengono utilizzate coppette di ceramica sormontate da un coperchietto in metallo.
    Quando si arriva ad essere Sommelier del riso, il percorso di crescita è solo all’inizio (allo stesso modo, non ci stanchiamo di ripeterlo, di quanto avviene per il percorso formativo di un sommelier del vino!)

    La continua degustazione, scoperta, partecipazione a panel di assaggio, rende sempre più completo il patrimonio descrittivo sensoriale che ognuno rielabora nella propria memoria, e proprio come per il frutto di Bacco, occorre continuare a degustare per capire e conoscere.
    La Strada del riso Vercellese è la realtà che da anni promuove questa cultura, ha definito un protocollo preciso di addestramento, e forma ogni anno decine di sommelier, molti dei quali produttori risicoli, altri ristoratori, una buona parte appassionati gourmet che si avvicinano in modo sempre più professionale alla cena al ristorante!

    Chicchi di vari cultivar nei calici
    Chicchi di riso di vari cultivar nei calici

    Massimo Biloni, presidente della società Acquaverderiso, e docente insieme a Davide Gramegna ex ristoratore, è uno dei massimi conoscitori di riso in Italia e ha voluto creare questo percorso didattico per valorizzare il territorio di produzione del riso, per realizzare un riso trismo, alla stregua del successo che sempre più riveste il mondo dell’enoturismo.
    Ed è un obiettivo importante e condiviso, i numeri parlano chiaro.

    Tanti i produttori divenuti sommelier hanno aperto le loro aziende agricole a tour delle risaie ampliati in sessioni di analisi sensoriale; numerose guide turistiche con questo titolo hanno inserito nei loro classici giri di visita ai terreni coltivati, anche tappe degustazioni strutturate; alcuni chef hanno voluto approfondire la conoscenza di questo prodotto per inserire in menu anche varietà non considerate prima…

    Nadia Toppino scrittrice, e foodwriter in alcune testate di settore svizzere e Blog Storie di Cibo
    Nadia Toppino scrittrice, e foodwriter in alcune testate di settore svizzere e Blog Storie di Cibo

    Sito Autrice: https://www.storiedicibo.it/

    Partner: https://carol-agostini.tumblr.com/ https://www.foodandwineangels.com/

  • Fermentato di riso: il sake dalla sua nascita 5000 a.C

    Fermentato di riso: il sake dalla sua nascita 5000 a.C

    Fermentato di riso: il sake dalla sua nascita 5000 a.C

    Di Gaetano Cataldo

    Non so a voi ma a me, quando bevo vini straordinari e birre artigianali di alto livello, senza manco dover andare in coma etilico o vedere alcolemiche allucinazioni, mi capita di fare certi viaggi a ritroso nel tempo che è uno spasso, viaggi che rispolverano antiche leggende, accadimenti ed aneddoti storici.

    Fermentazione del riso: il sake dalla sua nascita 5000 a.C
    Fermentazione del riso: il sake dalla sua nascita 5000 a.C

    Il fluire del tempo…

    Impigliati nel fluire del tempo e rievocati da una sorsata di vino appena prelevato da un grosso qvevri c’è la nascita dell’alfabeto cuneiforme sumerico e le gesta mitologiche di Gilgameš re di Uruk, la fiera ebrezza degli Argonauti alla vigilia della ricerca del Vello d’Oro nell’antica Colchide, la scia delle antiche navi fenicie giunte fino a Cartagine, in Croazia ed in altri angoli del Mar Mediterraneo.

    Un boccale di birra dissetante tra amici non di rado porta a riscoprire le origini di questa bevanda oltre la spuma: la pratica di svezzare i neonati con lo zythum nell’Antico Egitto, i rituali religiosi officiati con la scura e concentratissima curmy, riservata al faraone ed il culto del gruit, miscela d’erbe antesignana del luppolo, custodito dalle popolazioni etrusche in un’epoca in cui la Campania non era stata ancora colonizzata dai Romani e quindi costoro non erano ancora riusciti a monopolizzare le abitudini di beva col nettare dionisiaco.

    Sake alle erbe di vario tipo
    Sake alle erbe di vario tipo

    Al di là del fascino e dell’alone leggendario che si cela dietro al consumo di vino o di birra quel che conta è saper bere e bere consapevolmente, pertanto anche chi sorseggia un sake artigianale potrebbe idealmente fare un bel viaggetto nella storia, ripeto “viaggetto” in termini metaforici e non “trip fantalcolemico”.

    Bisognerà portarsi col pensiero giusto un tantinello più ad Est, non subito in Giappone però…

    Cina precede il Giappone: sake e origine

    Junmai shu in degustazione
    Junmai shu in degustazione

    Infatti pare tutto abbia avuto inizio in Cina: con buona probabilità il casuale processo di fermentazione del riso sembra sia avvenuto attorno al V millennio a. C. nei pressi del Fiume Azzurro, altre fonti sostengono invece che sia avvenuto in prossimità del Fiume Giallo durante il periodo della dinastia Shang, tra il XVII ed il XI secolo a. C. Da questo punto di vista è bene osservare che ci sono degli antenati cinesi che si avvicinano molto al sake giapponese:

    lo shokoshu e lo shaohing-jiu, entrambi provenienti dalla regione dello Shaoxing nell’Est della Cina, nei quali vengono impiegati non soltanto riso, ma addirittura miglio ed anche grano durante il processo fermentativo, per non parlare di un altro parente prossimo… l’huang-jiu, ossia il vino giallo, tutt’oggi elemento di estremo rilievo nella gastronomia cinese. Si rilevi che è che nella terra del Dragone Rosso, tre secoli prima della nascita di Gesù Cristo, che viene fatta menzione per la prima volta di una particolare muffa nello Zhouli, libro dei riti della dinastia Zhou, che in seguito verrà classificata come aspergillus oryzae, di estrema importanza per l’alimentazione in Estremo Oriente.

    Ma cosa accadeva nell’arcipelago giapponese e come si è arrivati al sake?

    Attualmente solo 1500 aziende producono il riferimentato di riso
    Attualmente solo 1500 aziende producono il riferimentato di riso

    Alcuni reperti archeologici consistenti in anfore, vasellame e coppe, sono stati rinvenuti sull’isola di Kyushu nel sud del Giappone qualche anno fa e gli esami al radiocarbonio vorrebbero risalissero al periodo Jomon, tra il 10.000 ed il 300 a. C., epoca in cui alcune tracce confermano la consuetudine a bere alcolici frutto della fermentazione di uva selvatica e di altri frutti spontanei da parte degli abitanti. È alla fine di questo periodo, più o meno tra il 600 ed il 500 a. C., che assisteremo all’introduzione del riso nell’arcipelago nipponico da parte dei cinesi.

    Durante il periodo Yayoi, databile tra il 300 a. C. ed il 300 d. C., assistiamo allo sviluppo ed al consolidamento delle tecniche di coltura del riso per mezzo dell’allagamento delle risaie e dei terreni predisposti alla semina di questo prezioso cereale.

    È bene rilevare che le testimonianze scritte più accreditate confermano il consumo di sake in Giappone risalga proprio a quest’epoca: nelle “Cronache dei Tre Regni” o “Gishi Wajin Den”, più precisamente nel Libro di Wei, testo cinese importantissimo, si descrive come interpretare e decifrare gli ideogrammi giapponesi rispetto ai costumi del tempo, tra cui la consuetudine di bere alcol appunto sia durante le danze popolari che nei periodi di lutto.

    Grazie all’impulso cinese la società giapponese cominciò a cambiare radicalmente ed assumere, a poco a poco, una connotazione culturale tutta sua… al periodo Yayoi, come recitato nel testo che lo menziona per la prima volta, ossia l’Ohsumikoku Fudoki, appartiene il kuchi-kami no sake, il sake ancestrale preparato dalle sacerdotesse shintoiste attraverso la masticazione del riso caldo, poi riposto in recipienti di terracotta assieme ad altro riso ed acqua perché amilasi e fermentazione potessero aver luogo.

    I giapponesi credono che il sakè sia la bevanda degli Dei e, durante i matrimoni, gli sposi si scambiano bottiglie di questo particolarissimo vino di riso, per suggellare la loro sacra unione.
    I giapponesi credono che il sakè sia la bevanda degli Dei e, durante i matrimoni, gli sposi si scambiano bottiglie di questo particolarissimo vino di riso, per suggellare la loro sacra unione

    Il rituale della preparazione del sake da masticazione da parte delle giovani vergini fa sì che nel periodo Kofun ed Asuka, tra il III ed il VII secolo d. C., la bevanda sia consacrata agli dei per ingraziarsi buona sorte e raccolti fruttuosi e purtroppo, dopo essere divenuto una bevanda molto popolare, proibita: il consumo infatti divenne appannaggio esclusivo dell’imperatore e della sua corte.

    Nel 689 d. C. fu istituita la prima casa di produzione di sake al palazzo imperiale di Nara e costituirono un organismo che ne vigilasse il processo, inoltre si beveva il doburoku, un sake “fangoso”, ergo non filtrato.

    Col periodo Nara , datato tra il 710 ed il 794, la sacralità del sake venne consolidata ulteriormente da un editto imperiale che ne codificò il culto durante specifiche funzioni religiose, proprie dello Shintoismo; dal Fudoki , testo di cronache di costumi e terre, opera letteraria voluta dalla stessa Genmei, un’importantissima rivoluzione nel processo di produzione del nettare di riso, si apprende circa l’introduzione del kamutachi: il termine antico è nient’altro che il sinonimo del meglio noto koji-kin, la spora fungina che cresce lungo gli steli del riso cui si è fatto cenno precedentemente ed il cui nome scientifico, lo ricordiamo, è aspergillus oryzae.

     bevanda alcolica prodotta dal riso nota in giapponese come Nihonshu
    bevanda alcolica prodotta dal riso nota in giapponese come Nihonshu

    754 la prima consacrazione dell’intero Giappone

    Di importante rilevanza storico-culturale è stata la prima consacrazione dell’intero Giappone del 754 avvenuta proprio in una delle sale del Grande Tempio Orientale tutt’oggi presidiata dalle imponenti statue dei quattro guardiani del Kaidan-In.

    Dal 794 al 1185, detto periodo Heian, il Giappone vede il fiorire dell’arte della scrittura a corte e numerose sono le descrizioni in forma letteraria ed artistica circa il servizio di mescita del sake; nel 927 viene ultimata, per volere dell’imperatore Daigo, la stesura dell’Engishiki, libro di leggi e costumi del tempo contenente una vera e propria trattazione sul processo di fermentazione, la descrizione di una dozzina di sake conosciuti e viene menzionata per la prima volta la consuetudine di bere il sake caldo con le tecniche di riscaldamento.

    Il mercato antico del Sake

    Alla fine del periodo Heian, nome dell’antica Kyōto, la domanda di sake aumentò così vertiginosamente da superare persino il prezzo del riso e, di conseguenza, i santuari shintoisti produttori di sake si moltiplicarono rapidamente in tutto il paese.

    L’era Kamakura – Muromachi, dal 1185 al 1493, sancisce l’inizio della produzione moderna di sake e si praticava l’antica tecnica fermentativa chiamata bodai-moto: essa consisteva nel mescolare riso grezzo cotto al vapore con acqua, koji e lieviti per ottenere un miscuglio ricco di acido lattico… una sorta di batonnage.

    Nel 1252 il governo dovette correre ai ripari limitando e regolando la produzione per impedire il consumo di sake degenerasse nella piaga dell’alcolismo.

    Tra il 1493 ed il 1600, ossia nel periodo Azuchi – Momoyama, venne introdotta la levigatura del riso con metodo Morohaku, descritto nel libro Tamon-in Nikki pubblicato nel 1569, creata la ricetta per la distillazione dello shōchū e, udite udite, fu introdotta la pratica della pastorizzazione… appena 300 anni prima di Pasteur, aumentando così la shelf-life del fermentato.

    Il culto del sake
    Il culto del sake

    Durante il periodo Tokugawa, noto anche come Edo, inizia il declino per lo shogunato ed il governo trova una stabilizzazione definitiva nella città di Tokyo. In questa fase di progresso generale avvengono altri determinanti cambiamenti per la produzione qualitativa di sake: come si tramanda nel Tamonin viene scoperta da Tazaemon Yamamura, fondatore della cantina Sakuramasamune, ancora attiva ed una delle più famose, la sorgente Miyamizu sul Monte Rokko nella prefettura di Hyogo e si comprende di conseguenza la funzione dell’acqua nel sake.

    Il cambiamento che porta Edo, la moderna Tokyo, a diventare la nuova capitale del Giappone in luogo di Osaka comporterà il trasporto di sake via mare e di conseguenza la costruzione di navi apposite chiamate Taru Kaisen, inoltre viene introdotta la figura del Toji, praticamente l’enologo del sake; nel Kanzukuri viene stabilito che i migliori sake debbano essere prodotti in inverno dove l’assenza o quasi di lieviti ed altri batteri non interferisce, inoltre verrà praticata la pastorizzazione a freddo ed infine, cosa importantissima, si introduce e perfeziona il processo fermentativo in tre fasi chiamato Sandan Jikomi.

    Al Periodo Meiji, databile tra il 1868 ed il 1912, si deve la nascita della bottiglia “Issho Bin”, in pratica la magnum del sake; nel 1872 il sake viene liberalizzato, consentendone il consumo al popolo, ed il fermentato di riso e koji compare sul Vecchio Continente, debuttando all’Expo Mondiale di Vienna.

    Durante il secolo scorso, tanto nel periodo Taisho che nel periodo Showa, sono stati apportati altri miglioramenti ma cosa ancora più importante è avere comprensione che il sake è frutto di ogni singolo tassello che nel corso della sua storia è servito ad ottimizzare un prodotto ed uno stile di bere evolutosi senza sosta nel tempo fino ai nostri giorni.

    Cosa possiamo dire del periodo Hensei, cioè dal 1989 fino ai giorni nostri? Con l’Expo di Milano del 2015 l’Italia diventa il primo paese europeo per l’importazione di sake di qualità e nel dicembre dello stesso anno il nihonshu viene insignito dell’indicazione geografica il cui disciplinare ne sancisce la tutela per tutte le 47 prefetture in cui viene prodotto.

    Bere consapevolmente significa appunto bere di qualità e con moderazione, accrescendo al tempo stesso la propria cultura grazie anche al confronto con altre culture tra presente e passato e bere sake giapponese è uno dei modi migliori per cogliere tale opportunità, con un tocco healthy e di grande appeal allo stesso tempo.

    Di Gaetano Cataldo


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